IL FILOSOFO (S)CORRETTO

Li vedi. Dall’alto dei loro scranni discutere animosamente, eterni riflessi di un nulla che si finge essere che si esaurisce nell’atto della riflessione. E li vedi, verbosamente impegnati in battaglie epiche dall’esito incerto (la cui unica certezza è che l’esito non può che discostarsi dal centro postulato). E li vedi, orgogliosi alfieri che a cavallo spaziano tra un eone del tempo e l’altro, leggiadri e svolazzanti, nell’inalellare compulsivamente nozioni spasmodiche. E li vedi, pugnaci, battagliare ardentemente per quell’ideale oggi di moda, novità per lo ieri, noia del domani. E li senti, soprattutto. Li senti sviscerare un concetto, porlo in fogge differenti e molteplici, padroni del multiprospettivismo ugualizzatore. Li senti vociare sulla strada giusta, più giusta, da intraprendere e pontificare sull’erronea direzione da altri, ahimè, imboccata. Farisaicamente “sepolcri imbiancati”, ingrigiti soltanto un poco dalla polvere della loro lunga persistenza, li senti, infine, nell’indefinito eco sempre più stentoreo, dolby surround martellante ed elusivo.
Battaglia figurata; battaglia simulata. Battaglia del simile che cerca il simile, che si affratella al simile fingendo il dissimile. Simile che abbraccia il simile nella presunta discrasia dal dissimile. Perché l’eco rinforzante non può essere che un potenziamento quantitativo del simile nella differenza intensiva, ma qui perfettamente calcolabile e matematizzabile, dei dissimili del simile, riverberi concatenati e cardinali. Battaglia elusa, abilmente, nel rimpallo, ping-pong “nobile”, di un dialogo tra sordi, emissioni vocali della medesima sostanza di un’emissione vocale, assai meno “della materia di cui sono fatti i sogni”: flata vocis, ovvero realismo nominalista (esistono i nomi e le relazioni tra i nomi; le cose, che esistono, esistono nelle relazioni e solo in quell’arco di tempo).
Ma le cose esistono! E sono refrattarie all’oggettualità! I filosofi s-corretti lo sanno, e anche bene. Ma sono s-corretti e l’oggettualità si perpetua nella pletora del detto: res in vocis flatis. La cosa cede e oggettualità ne prende il posto. E sono corretti, perfettamente corretti, beatamente corretti; correttamente corretti, talmente corretti da non dover neanche essere corretti, ontologicamente corretti. Sono i filosofi-chic, che si crogiolano nel catalogo di idee chic (Flaubert) a rivangare ricordi di gioventù in un qualunque Album di una qualsivoglia Marchesa (ancora Flaubert; in fondo, non fa chic citare Flaubert?). Filosofi-eco, rigorosamente bio, sostanzialmente concordi, a loro insaputa forse, per loro inganno, ovviamente mai. Filosofi-salutisti, preferibilmente veg. E son filosofi s-corretti, rilassatamente cool, contemporaneamente up today, comodamente top. Filosofi-oggetto: coerentemente coerenti.
E le cose? Cosa fare delle cose? Non è più tempo per le cose: si è più leggeri, ginnici, atletici. Le cose sono un retaggio di una metafisica andata e mai disperata, palle al piede del vorace appetito onniingoiante. Sindrome ossessivo-compulsiva: accumulazione patologica. Non si combatte più contro le cose, non c’è più bisogno. Sfibrate, si arrendono e diventano oggetti. Non si può combattere per gli oggetti, ma con gli oggetti (realismo di una voce); non si può combattere né per le cose, né con le cose: rifiuto espulso da incendiare, olocausto gradito a Dio (filosofo-sacerdote).
Ma nell’Arena non è così! Difatti, «a che serve profumare lo sterco?» (Attar, Il verbo degli uccelli) Lì si combatte e lo si fa senza esclusione di colpi. Ci si batte, a suon di botte. Non si fanno sconti, il glam della pulizia stride con la sabbia dell’Arena. Nessuna paura, solamente tanta audacia. Audacia nell’affrontare battaglie a costo della vita; audacia che si libra al di là di ogni possibile sottomissione, doni di una morte (in)degna. Audacia nel fronteggiare l’infamante accusa di essere diversi da quelli che si è. Audacia nell’affermare la propria (s)correttezza. Perché si è (s)corretti e bisogna esserlo se si vuole entrare nell’Arena: «[s]olo se la tua ricerca sarà empia potrà dirsi azione e non effimera avventura» (ancora Attar). Solo così si può combattere sinceramente. Solo così si può essere pronti per la morte. Morituri te salutant. Chi? La ragion d’essere di questa morte che è la vita.
D’altronde il filosofo è così; sempre (s)corretto se vuole essere corretto. Un’intima (s)correttezza, lo caratterizza, il taglio sul vivo del taglio trasversale, la rottura del fuori posto. Rottura della retta, rottura dello specchio, rottura dell’oggetto. Rottura di balle. Insorgenza della cosa, il filosofo (s)corretto ha a che fare con la cosa; egli sì, combatte con le cose, per le cose e lo fa nell’Arena. Morituri te salutant, gladiatori dal destino segnato. E per questo vivono, danzando, (s)correttamente. La via del filosofo (s)corretto.
Il verbo degli uccelli, di Farid Ad-din Attar, citato nell’edizione curata da Carlo Saccone, edito SE, Milano 1997 (seconda edizione), è una delle opere più illustri del grande mistico islamico (XII-XIII secolo).
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@ILLUS. by MAN OF PONG, 2019