IL RITORNO-FANTASMA (PARTE I): L’ETERNITÀ VAMPIRO

Tutto incomincia con la morte. Come sempre. La domanda su cosa ci sia dopo rischia di trovar risposta. E forse non piace. Se evochi i mostri prima o poi, ma si può starne certi più prima che poi, quelli si presenteranno. E busseranno alla porta; alla tua. Perché c’è qualcosa dopo la morte, lo si sa malgrado tutto, malgrado tutti i tentativi di farne a meno, malgrado tutte le reticenze. Non si esclude il ritorno; una possibilità dunque. Una non-certezza del post mortem, una non-certezza del cosa ci sia, sempre che sia, dopo.
Una possibilità è sempre meno del reale e sempre più; meno perché è la non-esistenza del qualcosa-dopo-la-morte. Non escludere il ritorno è una non-affermazione negativa; è un’affermazione non-positiva nel contraddittorio accostamento affermativo (come può un’affermazione essere negativa?). Non escludere il ritorno, forse, non vuol dire proprio nulla! D’altra parte, è più del reale perché è un’apertura, un orizzonte (o più orizzonti) inaspettato/i, una variabile impazzita, un composto instabile. Non escludere il ritorno: possibilità da non escludere. Non escludere il ritorno, forse, vuol dire proprio tutto!
Ma la domanda, o le domande meglio: se si torna dalla morte, allora c’è qualcosa dopo la morte? Se dopo la morte si ritorna, si può riferirci ad uno stato dopo la morte? Se ci fosse qualcosa dopo, non sarebbe logico il non-ritorno? Eppure si disquisisce sul ritorno; ma se si ritorna, come si ritorna?
Proviamo a riflettere sul ritornare; tale azione interrompe la dinamica del tempo cristianamente inteso: tempo a senso unico, segmento ascendente che dalla nascita porta alla morte. Perché i morti non tornano indietro. Nell’economia cristiana solo il Cristo può tornare dalla morte; Tommaso, che non aveva capito in pieno il tempo cristiano, non credette (legittimamente) al ritorno del loro Maestro. Ha dovuto vedere, tastare, assicurandosi dell’avvenuto miracolo. Ma poi il Cristo se ne è andato, e questa volta per sempre, promettendoci però che sarebbe tornato, alla fine dei tempi, per spezzare il tempo. Un tempo altro, non più lineare né non più lineare di quanto non circolare, il tempo nuovo sarà l’eternità, determinazione positiva di un non-tempo, deindividuazione in un non-tempo che si ripete.
Ma la ripetizione è già un ritorno? Ciò che torna, è ciò che si ripete? È concepibile il fatto che si possa tornare senza ripetersi?
Alla luce di queste iniziali schermaglie, come intendere l’eterno movimento (ma sarà poi movimento? L’eternità non è piuttosto fissità?) del non-tempo dell’eternità? L’eterno ritorno nietzscheano è di per sé l’eternità cristiana? E cosa torna nel modello prospettato e inseguito dal filosofo tedesco? Tutto! Tutto torna. Tutte le sofferenze, le storture, le infamie; tutte le ingiustizie subite e arrecate, la morte e la vita; il bene e il male. E tutto si ripete, perfettamente identico, perfettamente naturale. Di questo rischio Nietzsche se ne è accorto, motivo per il quale è inseparabile dall’eterno ritorno la volontà, il desiderio quasi titanico, Atlante dal perpetuo mal di testa, che tutto torni senza doversi ripetere.
Ma una ripetizione tale sarebbe stata solamente una sbiadita copia del cristiano non-tornare del non-tempo eterno. Se Nietzsche ha voluto presentarsi come incarnazione dell’Anticristo lo ha potuto giustificare perché ha sottratto a Dio, siccome novello Prometeo, il potere della ripetizione; ha ucciso Dio perché lo ha svuotato di quell’eternità che lo rendeva immobilizzatore immobile, figura schiacciante trincerata nella trinità divina suprema: Immortalità, Onnipotenza, Onniscienza (come ha magistralmente argomentato, e in questa sede da me in parte modificato, Sloterdijk nel suo Dopo Dio). E forse Dio è stato salvato dal suo acerrimo nemico, forse c’è ancora una speranza di tempo, di un tempo che ritorna senza ripetizione; perversità massima dell’Anticristo: l’uomo salva Dio.
In fondo l’Anticristo è Dioniso, divinità delle cuciture, delle sue molteplici cuciture sin dal tempo prenatale (un tempo-non e non un non-tempo; tempo in cui si è già vivi eppure non si è al mondo, tempo in cui la vita sbeffeggia la morte civettando con lei, strappando il nascituro (d)alle oscure braccia dell’eternità-non-tempo) e da quello della ricomposizione, del ritorno. Perché Dioniso ritorna; nei suoi infiniti pellegrinaggi, nelle sue infinite avventure, certo è il ritorno. “Non escludo il ritorno” non viene detto; “Escludo il non-ritorno”, al meglio. Ed è logico che si tratti di una rivincita, di una vendetta; una Tomie (creatura del ritorno; mostro infame e violento, fatta a brani, in 42 tocchetti per la precisione, che si ricompone e rinasce per portare alla follia uomini e donne ignari della sua missione vendicativa) teistica che vede il Dio cristiano, uccisore degli dei politeistici (Assmann e Sloterdjik), insidiato da questo ritorno irripetibile. Dio è morto; tornano gli dei.
L’eternità è una maledizione, è un vampiro.
Il volume menzionato di Sloterdijk è Dopo Dio, Raffaello Cortina, Milano 2018, nella traduzione di Silvia Rodeschini.
Non escludo il ritorno è il titolo di un album (2005) del cantautore Franco Califano.
Il ritorno-fantasma (Parte II): il mostro irrompe. Continua a leggere su Arena Philosophika…
@ILLUS. by, CATALINA LUNGU, 2020
Se non c’è il Dio cristiano, infinito, a garanzia della finitudine del mondo, sito nel Suo nulla, ebbene allora è certo che si debba escludere il non-ritorno o meglio la partenza. Poiché infinito è il Mondo, solo Dio.
La trinità Immortalità-Onnipotenza-Onniscienza è logicamente (discorsivamente) sintetizzata in Unità quale Eternità, ossia essere sé di ciò che appare. Questo il Dio, unico assioma che identifica Essere e Sapere quali Informazione degli enti che figurano nell’anima e la costituiscono. Anima immota sempre in atto.