KARL JASPERS: CREAZIONE E COLPA, MEMORIA E RESPONSABILITÀ. IL MITO (PARTE I)

Quando vedo di che cosa sono capaci gli uomini pur di farsi strada a gomitate, mi viene in mente uno che in un giorno di primavera costruisca un pupazzo di neve, prepari dei monili di metalli preziosi e gemme per adornarlo, e poi innalzi un tempio. Si può aspettare che sia pronto il tempio per rinchiudervi come una reliquia il pupazzo di neve? Succede spesso che un uomo continui a lottare nella speranza di affermarsi, mentre la vita che gli rimane (e che lui crede abbastanza lunga) sta già consumandosi dalle fondamenta, proprio come un pupazzo di neve»
Kenkō, Momenti d’ozio, n. 166.
Confrontiamo la creazione biblica con la cosmogonia greca. La prima si distingue dalla seconda per almeno due ordini di fattori: 1) è il Dio unico che plasmò il mondo secondo la sua propria volontà e la sua parola ad essa conseguente (nel testo infatti si può notare come ogni passo della creazione sia introdotto da «E Dio disse» al quale fa seguito «E così avvenne»); 2) nella cosmogonia greca intervengono più fattori ordinatori esprimenti le forze della natura (dalla Madre Terra alla potenza soffocante del Cielo Urano che grava sulla Terra ingravidandola continuamente impedendo che si crei uno spazio a dividerli). La cosmogonia biblica corrisponde al disegno di Dio, che nell’ultimo giorno, al termine della fatica, si concede riposo, stanco, ma pieno di compiacimento per il suo operato; la cosmogonia greca, invece, sembra il posizionarsi reciprocamente autonomo o in antagonismo delle forze della natura, in un quadro via via più definito, quasi retto da una necessità interna e impersonale. Nell’universo biblico la creazione dell’uomo e della donna è posta a coronamento dell’intero creato, mentre nell’orizzonte greco l’uomo (per quanto riguarda la donna, invece, la sua diretta discendenza da Pandora, dono ingannevole degli dei agli uomini, la pone inevitabilmente sotto un’ottica duplice e misteriosa, tendenzialmente negativa) si presenta inizialmente convivente con le divinità, nella cosiddetta età dell’oro, a mano a mano decaduto a seguito della rivolta di Prometeo (che peraltro uomo non è, ma che con lui condivide uno statuto ambiguo, divino da una parte, ferino dall’altra).
Un discorso differente è invece quello della caduta, della perdita della condizione originaria, felice e beata a seguito di una colpa, di una trasgressione ad un comando divino, come nel caso del peccato originale, o a seguito di un inganno ordito contro la divinità. Tale colpa necessita di un intervento divino, di una punizione che possa atterrire il genere umano tanto irrispettoso. Prima di passare ad analizzare più in dettaglio la caduta del genere umano, è interessante segnalare un parallelismo interno alla divinità stessa: la trasgressione non si assesta esclusivamente sull’asse uomo-Dio, ma anche in Dio stesso (per il Dio biblico) e nella molteplicità del pantheon greco (tanto da essere la causa stessa della sua esistenza). Se si pensa all’epopea descritta da Milton nel suo Paradise Lost, dedicata proprio alla descrizione della perdita del Paradiso in seguito al peccato, si presenta la tentazione del serpente come conseguenza di una precedente e originaria ribellione, cioè quella degli spiriti angelici creati da Dio che si opposero al suo regno (così l’Arcinemico, th’Arch-Fiend, in piena caduta, spiega al suo luogotenente Belzebù: «la mente/ ferma e lato disdegno per l’offesa ai meriti/ mi spinse alla contesa con il più potente,/ e nella fiera lotta condussi insieme a me l’innumerevole/ forza di Spiriti in arme che osavano negare/ il suo regno, e preferendo me si opposero alla sua/ forza con forza avversa in dubbiosa battaglia/ sulle pianure del cielo, e scossero il suo trono»[1]). La lotta tutta intestina alla divinità stessa, perché non si era ancora creato il mondo e il tempo, è una lotta, per così dire, politica, o meglio ancora, una lotta cratica, ovverosia per stabilire chi devesse detenere il potere e, se vogliamo, chi dovesse creare il mondo.
Se ci spostiamo in Grecia, si possono trovare gli stessi elementi di ribellione nella cosmogonia stessa che coinciderebbe, peraltro, con la teogonia. Ad un Urano che sovrasta la Terra impedendole ogni possibile movimento e nasconde in essa i frutti del suo continuo ingravidamento (è da notare che Urano è figlio della stessa Terra; i tre principi primi del cosmo greco sono Cahos, Terra ed Eros, qui inteso come forza universale e cosmica), si oppose uno dei suoi figli, Crono, il quale, dopo aver evirato il padre, permise che si creasse uno spazio tra la Madre Terra e il Padre Cielo, rendendo così possibile la comparsa dei molteplici figli del Dio evirato (tra i quali le divinità vendicatrici, le Erinni, i Giganti e le Meliadi, divinità tutte votate al massacro, al sangue, da cui provengono; da questo momento si è instaurato un rapporto di perenne vendetta nei confronti di Crono e dei Cronidi, sua stirpe, a causa del suo ribellarsi che lo porterà a subire sorte simile, in quanto eliminato da uno dei suoi figli, Zeus); solo a partire da adesso può avere inizio la dinastia delle divinità greche, solo ora possono avere una generazione perché solo ora, essendosi creato uno spazio per vivere allo scoperto, si sono anche rese possibili le basi per lo scorrere del tempo. Ma come già detto, ogni divinità successiva, in quanto in un modo o nell’altro discendente dal Padre Urano, dovrà subire la punizione per quella colpa incancellabile che richiede vendetta (almeno nel mondo greco e fin quando la Erinni non saranno diventate Eumenidi; per quanto concerne il mondo biblico, invece, la punizione è inserita nel contesto della giustizia immensa di Dio)[2].
Un ultimo riferimento: la Via Lattea. Fetonte, figlio del Sole, un giorno chiese a suo padre di poter condurre egli stesso il carro trasportante la luce più intensa; il padre acconsentì, con le dovute raccomandazioni di non uscire dal sentiero tracciato, altrimenti sarebbe stato il caos più totale; Fetonte, vuoi per mancanza di praticità con il carro e i suoi cavalli, vuoi per orgoglio e tracotanza (la famigerata e nefasta ὕβρις), sbandava continuamente ora allontanandosi troppo, ora avvicinandosi sconsideratamente alla terra e alla volta celeste tanto che Zeus dovette folgorarlo. La cicatrice del carro infuocato è oggi riscontrabile in cielo nella Via Lattea, la cui costellazione si presenta come una striscia che attraversa il cielo[3].
Torniamo ora agli uomini.
La colpa dell’uomo è nell’aver disobbedito, riferendoci al testo biblico, ad un ordine di Dio; disobbedienza frutto della tentazione del demonio al quale, la donna prima e l’uomo poi, non sono riusciti a resistere. Da ciò la cacciata dall’Eden, locus amoenus privo di fatica e lavoro, luogo di armonia e di pace. Che cosa fanno Adamo e Eva una volta cacciati e costretti a vivere derelitti sulla terra spoglia e arida? Si unirono e diedero così vita alla progenie del genere umano. Il fatto che si unirono proprio al di fuori, lontani da quella condizione beata è molto significativo: i figli nati da un rapporto necessitato a seguito del peccato non possono che portarne i frutti; i figli nati dal peccato non possono che essere peccatori a loro volta. La questione pertanto non è più della semplice colpa o di una colpa determinata, quanto più della colpevolezza[4] dell’essere uomo pre e post caduta. L’uomo è dunque colpevole per il fatto stesso di esserci, di essere stato generato da progenitori colpevoli, i quali in eredità ci hanno lasciato non solo la colpa determinata della disobbedienza, ma la colpevolezza del loro stesso essere. Pertanto, l’uomo non può ritornare nella condizione primeva, nell’età dell’oro biblica della comunanza con Dio, da sé, ma necessita di un intervento divino, del Dio stesso che, per salvare l’uomo dalla sua condizione di uomo, per inverare e realizzare la natura stessa dell’uomo decaduto, deve farsi uomo, morire della morte più degradante, per poi risorgere, liberando così l’uomo dal suo essere-uomo per essere eternamente uomo, figlio di Dio.
La colpa dell’uomo greco, invece, è frutto di una ribellione, non di una disobbedienza in senso stretto. Prometeo, su invito di Zeus a trovare una soluzione per poter separare, pur nella convivenza, gli dei dagli uomini, prepara un bel tranello al sovrano degli dei: durante il sacrificio lascia scegliere a Zeus quale parte del bovino destinare alla divinità. Le due sezioni sono in bella mostra; da una parte la bellezza delle ossa lunghe, ricoperte dalla pelle dell’animale, ma prive di carne, mentre dall’altra un’oscura sacca viscerale, però farcita di carne. Zeus sceglie la bellezza e destina, così, agli dei le ossa, lasciando agli uomini la carne. Sembrerebbe che Prometeo abbia colpito duramente Zeus avendo fornito agli uomini cibo; ma Zeus, che per essersi ingoiato Meti, la sua prima moglie, possiede il dono dell’intelligenza, dell’astuzia, della furbizia e della lungimiranza, ha solamente fatto finta di venire imbrogliato: riservando per gli dei la parte bella e immutabile delle ossa, ha affermato la distanza che separa gli uomini dagli dei, in quanto i primi necessitano così di un cibo che può avariare, marcire, anch’esso sottomesso alla caducità del tempo, mentre i secondi possono fruire di un cibo, per così dire, eterno e immutabile. Prometeo venne punito per la volontà ingannevole, anche se non riuscì ad ottenere l’effetto sperato. La punizione consistette nel sottrarre agli uomini il fuoco e il grano, e da quel momento dovettero faticare per poter mangiare e sopravvivere. La sortita di Prometeo, che rubò il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini, non suscitò altro effetto che la comparsa di Pandora, flagello implacabile[5].
Questi racconti sono semplici narrazioni fantastiche, favolistiche, leggende di altri tempi? Sono mere raffigurazioni della visione del mondo di popoli antichi, giunteci fino a noi e studiate per soli scrupoli filologici? Sono resoconti di eventi effettivamente avvenuti? Come devono essere letti? Con quale spirito? Domandare sulla sostanza della creazione e della colpa implica un questionare i testi sulla realtà sia dell’evento salvifico chiave della rivelazione cristiana sia, di conseguenza, della liceità della pretesa di assolutezza delle varie religioni che pretendono di essere fondate sulla Rivelazione, unica ed esclusiva. Ed è proprio su questo terreno che si è giocata la partita, sotto forma di intenso dialogo, non scevro da sferzate vigorose, tra il teologo della demitizzazione Bultmann e il filosofo Jaspers.
[1] J. Milton, Paradiso perduto, Mondadori, Milano 2015, Libro I, vv. 107-115, p. 15.
[2] Quanto ho qui brutalmente sintetizzato, può essere letto nel bel libro di J.-P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, Einaudi, Torino 20144, pp. 9-51.
[3] Si può leggere la storia di Fetonte e della mitologia della Via Lattea in A. Cattabiani, Planetario. Simboli, miti e misteri di astri, pianeti e costellazioni, Mondadori, Milano 20152, pp. 181-182; 250-251; 365-367.
[4] In riferimento al significato di questo termine, cfr., G. Penzo, Le cifre come linguaggio dell’esistenza possibile, postfazione a K. Jaspers, Cifre della trascendenza, Marietti, Genova 1990, pp. 105-115, principalmente, p. 110.
[5] Per una lettura completa di questo mito e di tutte le possibile implicanze, cfr., J.-P. Vernant, L’universo gli dei, gli uomini, Einaudi, Torino 20144, pp. 53-71.
@ILLUS. by PATRICIA MCBEAL, 2020