LA RIVELAZIONE: IL DIO CHE GIOCA A NASCONDINO

La nascita. Venire al mondo è forse il più grande mistero della vita; la vita che viene alla luce, la vita che viene alla vita. L’origine, l’origine del mondo che ha fatto esclamare a Picasso, a casa di Lacan, al cospetto di L’origine du monde di Gustave Courbet, pudicamente velato e per l’occasione ri-velato, «le réalisme, c’est l’impossibile» (Walter Siti, Il realismo è l’impossibile, p. 23). Nascita di cui nessuno si ricorda; inizio già iniziato, salto iniziale (in tedesco viene ben espresso dal termine “Ursprung“: Ur = primario, primo, e Sprung = salto; Ursprung = salto orignario, cioè origine) che fa da contraltare al salto, anch’esso, a suo modo, iniziale (perché escatologico) della fede kierkegaardiano.
Nascita che diventa segno, prima ancora di essere dogma, di un intervento, forse dell’intervento per eccellenza del principio sovrannaturale: Dio che si fa uomo, Dio che nasce, che decide di prendere forma umana; Dio il cui inizio è sempre iniziato e mai iniziato, che dal principio plasmò, anzi creò i cieli e la terra; Dio perennemente in atto, principio primo e in-finito (in-finitum, ovvero nel finito esattamente come la causa è nell’effetto pur differenziandosene per natura). Proprio Dio ha scelto di darsi nascita, di darsi principio, Egli che agisce dal principio (בראשית be-re’šit; questa è la prima parola della Bibbia che vuol dire letteralmente “nel principio”: Dio opera a partire dal principio), imprincipiato e principio di principi. E questa nascita miracolosa, questo atto che si fa potenza, questo fuoriuscire e strapparsi che dall’Eternità, peculiare modalità del non-essere, salta nell’e-sistenza, viene denominata e creduta Rivelazione.
Che possa allora essere il sollevamento del velo, lo svelamento definitivo, il tempo salvifico? Revelatio: toglimento del velo, compimento delle certezze. Dio non parla più soltanto, né è solamente. Dio c’è. Ed è qui, tra di noi. La Rivelazione è la grande idea dell’interruzione dei tempi e della sostituzione del tempo con un tempo altro, di un tempo di preparazione al reddere rationem, già preparato dall’overlapping ontologico: la storia si ontologizza e diventa Storia della Salvezza. La questione allora è: Rivelazione come idea o idea della Rivelazione? Rivelazione come idea è la risoluzione del visto del passaggio dal Dio invisibile al Dio visibile, dal Dio del Cielo al Regno sulla terra; il Dio lontano che è divenuto il Dio-con-noi (Emmanuel). La rivelazione come Idea nella sua radice etimologica greca: ciò che è visto e in quanto tale è saputo. Solo che la Rivelazione è dotazione teologico-dogmatico e come tale rivolgimento dell’idealismo platonico: la realtà non è copia, ma realizzazione effettuale delle promesse. E se considerassimo l’idea della Rivelazione anziché la Rivelazione come Idea? Cosa cambierebbe?
Innanzitutto l’adaequatio: ci deve essere necessariamente adeguamento tra la Rivelazione e ciò che è il supposto-rivelato? Insomma, il rivelato deve esaurire la Rivelazione? In parte, la Rivelazione come idea si è resa conto di questa discrasia interna: una Rivelazione che porta Dio sulla terra e una, successiva, che porterà la terra a Dio (e che non a caso ottiene un altro nome: Apocalisse). Difatti, se l’avvenuta Rivelazione concludesse il cammino rivelativo non sarebbe poi troppo distante dal principio del piacere che gode nel suo annientamento: istinto di morte. La Rivelazione pertando non dovrebbe essere appiattita al rivelato, dal momento che risulterebbe come quel processo di Ri-velazione, di ulteriore velamento che si attua nel Ri-velato. Il procedimento è in parte simile al dis-velamento heideggeriano (come velamento successivo ad ogni dis-velarsi), ma se ne distanzia per un fattore importante: l’Essere è il ri-velarsi del dis-velamento, il suo ri-velarsi necessario e inimponibile a nulla fuorché alla sua verità. Il ri-velarsi di Dio nel ri-velato, che assurge a ri-velazione di Dio, è atto della Volontà divina che sceglie di incarnarsi, ma la cui Volontà non può contraddire l’essenza, per cui necessariamente Dio rimarrà sempre il Dio nascosto: per questo gioca ora a nascondino.
La differenza con l’Essere di Heidegger è proprio l’inserzione della Volontà, che è attributo essenziale di Dio e come tale non contrapposto al suo Intelletto e dunque necessario. Come che sia, la scelta di entrare nel mondo non opera in deroga alla Natura di Dio: la Rivelazione è effettivamente ri-velazione perché è l’impossibilmente rivelato. Nato da donna, il Rivelato, il Cristo di Dio, passa per l’Origine du Monde di Courbet e si conclude nel picassiano «le réalisme, c’est l’impossible».
È l’impossibilità della Rivelazione nella sua dimensione idealistica che prevale nell’idea di Ri-velazione. Perché se è vero che la nascita del Salvatore, avvenuta grazie a chi era stata preservata dall’impurità umana del peccato, non è logicamente contraddittoria (se Maria deve essere il medio tra divino e umano non può che essere all’altezza dell’impossibile; solo per l’uomo vale l’adagio ad impossibilia nemo tenetur. Per cui anche la nascita da una non peccatrice non ripugna, cioè non contraddice, la libera volontà di Dio), così come sostiene Duns Scoto (cfr., per alcuni brevi cenni la Storia del Pensiero medievale di Giulio d’Onofrio, pp. 598-599), lo è altrettanto il fatto che il Figlio (si) sia gettato nel mondo, la cui logica diverge da quella divina. Per questo è nato da donna e si è fatto bambino: si è ri-velato così come in un gioco, si è mostrato e si è nascosto. Ora gioca, bambino, a nascondino.
E questo i Vangeli apocrifi lo hanno compreso ma, erroneamente, lo hanno riportato. I testi canonici, invece, tacciono quasi totalmente dell’infanzia di Gesù in quanto gli Evangelisti erano totalmente consapevoli dell’impossibilità della Rivelazione. Riportare solo gli eventi riguardanti l’attività pubblica di Gesù, sottolineare la natura di Cristo e di Messia, rimarcandone la distinzione ontologica («Io sono la via, la verità e la vita» Gv XIV, 6) ha saturato per così dire la Rivelazione che si è annientata nella sua attualità. Nessun oltre, nessuna possibilità altra e ulteriore: reductio del divino all’adeguato, al supposto-rivelato. Ma già il Vangelo più livido, viola e oscuro, quello di Marco, puntualizza la discrasia tra il supposto-rivelato e il ri-velato:
Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?. Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi? (Mc VI, 2-3).
Chi è costui? Il Messia? Il Salvatore? Ma si sapeva chi avrebbe dovuto essere il Messia: proveniente dalla stirpe di Davide, un guerriero, un liberatore. No di certo un carpentiere. Ed ecco che l’idea della Rivelazione squaderna la sua impossibilità: il Dio nascosto si è mostrato, si è rivelato e così si è ri-velato; si è nascosto s-velandosi. Ha deciso di giocare a nascondino.
L’esclamazione di Picasso è tratta dal libro di Walter Siti, Il realismo è l’impossibile, Nottetempo, Milano 2013.
Per un panorama sulla storia della filosofia medievale e delle sue problematiche da cui si è estratta la riflessione scotista, si consulti Giulio d’Onofrio, Storia del pensiero medievale, Città Nuova, Roma 2013, seconda edizione.
L’immagine in evidenza è una rilettura di Lorenzo Lotto, La Natività, 1523, olio su tavola, cm. 46 × 34,9, conservato presso la National Gallery of Art, Washington.
Di seguito riportiamo il quadro che ha fatto esclamare Picasso a casa di Lacan: Gustave Courbet, L’Origine du monde, 1866, olio su tela, cm. 46 × 55, conservato presso Le Musée d’Orsay, Parigi.
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@ILLUS. by, FRANCENSTEIN, 2020
Libertà, serietà, impegno, sofferenza…
Solo se si è credenti, e lei mi pare che lo sia, si può accettare l’idea di un Dio che gioca a nascondino. Anche se, per la verità ad essere proprio cattocristianamente credenti, bisognerebbe dire che questo Dio, da sempre e per sempre nascosto (il Padre nessuno l’ha mai visto, dice il Figlio) s’è in realtà fatto vivo nell’anno zero. s’è presentato nel Cristo.
Ma questi sono dogmi catechistici di fede ed io, il Profeta della Desistenza, non posso più accettarli; vi fu un tempo in cui cercai di credere, ma siccome m’accorsi che più ci provavo e più credevo di credere senza credere veramente (secondo il verbo di Vattimo) smisi di crederci.
Quanto al gioco, del “nascondino”, vede, per un desistente l’ideale è nascondere l’Umanità intera dalla faccia della terra, sempre che la terra abbia una faccia: io, personalmente, la faccia ce l’ho messa, per cercare di salvare l’Umanità. Forse il suo Dio, signor Vaccaro, mi dannerà, per questo, ma io resto dell’idea che solo un Uomo ci salverà, e tuttavia non il Figlio dell’Uomo.
MAGISTER DAMNATUS
Vero. Anche se dipende da come si voglia intendere l’espressione “credente”. La Rivelazione, per come la intendo io, è la messa alla prova metafisica (e non la prova in sé) della differenza: pensare la Rivelazione come Idea appiattirebbe l’Identità all’Essere (la Rivelazione sarebbe il Rivelato). Pensare l’idea della Rivelazione porterebbe, credo, a interrogarsi sull’identità del differente nel ri-velato. “Credere” in questo contesto si nutrirebbe di una portata filosofica primaria (metafisica come filosifia prima).
La ringrazio per il commento che mi ha permesso di esprimere più manifestamente la mia posizione.
Solo l’Umanità può salvare se stessa: salvandosi dalla vita. Ma, per salvarsi dalla vita bisogna non darla, la vita. Chi salva una vita salva il mondo intero, si dice; ma io vi dico: se soltanto due genitori convertiti alla desistenza fanno il sacrificio di non concepire un figlio, essi salvano la vita intera del loro figlio potenziale, mai attuato dal loro atto sessuale.
Dio salva e danna secondo la sua Misericordia e la sua Giustizia (che mai nessuno ha capito come possano stare insieme). L’uomo desistente invece non danna nessuno: egli vorrebbe salvare tutti dall’esistenza e con ciò quindi anche dalla Morte eterna nonché dalla Vita eterna. Ai desistenti non piace l’escatologia dei Salvati e dei Dannati.
Un cristiano potrebbe considerare demenziali queste affermazioni, blasfeme, persino; infatti, ecco perché noi desistenti non possiamo dirci cristiani: perché riteniamo che una coppia procreante dovrebbe nascondersi, dalla vergogna: togliere qualcuno dalla pace del Nulla in cui egli è ancora Nessuno è metterlo alla gogna, alla gogna della vergogna esistenziale.
MAGISTER DAMNATUS (alias DEXISTENS)
Caro Cantino, comprendo e in fondo condivido. Forse che il desistenzialismo non sia escatologico? Di certo, e ha perfettamente ragione, non un’escatologia dei dannati e dei salvati; ma il punto culminante senza inizio quello, mi pare, sì! Ma in fondo non era proprio questo che Cristo diceva? Credo? È vero; ma nel Cristo mostro!
Apprezzo la sua gentilezza, caro Vaccaro: mi pare che al di là delle differenze di pensiero, la gentilezza possa in qualche modo non spegnere quell’empatia che è comunque necessaria fra esseri umani, per comunicare.
Salus!
Grazie a lei! Senza apertura al dialogo non si riesce a progredire!
Cordialmente
SV