TRA LA VITA E LA MORTE: LA PROTOVITA

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»: questo il postulato fondamentale, secondo Lavoisier.
Perché niente si crea, nelle operazioni dell’arte, né in quelle della natura, e si può porre come principio che, in ogni operazione, vi è una quantità uguale di materia prima e dopo l’operazione; che la qualità e quantità dei principi è la stessa e che si verificano solo cambiamenti e modificazioni (Lavoisier, p. 13).
Generalmente si tende a pensare che ogni essere vivente discenda da un altro essere vivente. I rettili discendono dagli anfibi, gli anfibi dai pesci, i cianobatteri dai procarioti. Questo potrebbe anche essere vero, ma ciò implica una salita a ritroso nell’albero genealogico dei viventi, una serie infinita della quale manca l’inizio, il primo esemplare, il capostipite. È difficile ipotizzarlo, è difficile immaginarlo. Come sostiene Dennett,
poiché si sa che il numero di cose viventi (sulla Terra, fino a oggi) è grande, ma finito, sembrerebbe obbligatorio, logicamente, individuare un primo membro – Adamo il Protobatterio, se volete (Dennett, p. 196).
Verrebbe da domandarsi come abbia fatto a nascere, a prendere forma, a esistere. Oppure da cosa sia nato, se è possibile che possa essere nato. Non ritengo che l’originario antenato sia stato – se è stato, non ho prove scientifiche per dimostrarlo – un’entità della grandezza fisica di una cellula procariote, sebbene appaia semplice, in quanto priva di un nucleo ben definito e delimitato dalla membrana cellulare. Penserei a qualcosa di nettamente più piccolo, più elementare, seppur nella sua complessità. Qualcosa che abbia funzioni simili a quelle di un essere vivente – perché è questo che stiamo cercando, un ipotetico primo essere vivente – ma, magari, non tutte, perché l’insieme di funzionalità di un vivente potrebbero essere state acquisite nel tempo. Se, tuttavia, il nostro “Adamo” non abbia posseduto tutte le qualità e le specificità additabili a un vivente, potrebbe essere chiamato tale?
Riassumendo: sappiamo che gli esseri viventi popolano il pianeta da un tempo finito. Abbiamo postulato l’esistenza di un primo essere vivente, caratterizzato da una struttura al tempo stesso semplice e complessa. Ma se è semplice, non può essere complessa, è una contraddizione. Allora, se i viventi sono complessi, ma il capostipite fu semplice, non può essere esistito un primo essere vivente!
Facciamo un passo indietro e volgiamo lo sguardo alla scala evolutiva.
Prima che esistessero i batteri, dotati di un metabolismo autonomo, esistevano cose semiviventi, molto più semplici, simili ai virus, ma diverse per il fatto che (ancora) non avevano cose viventi da sfruttare come parassiti» (Ibidem).
Come sostiene Dennett, potremmo identificare queste come «enormi cristalli complessi» (Ibidem). Diversamente da come potrebbe suggerire il termine, non si tratta di “pezzi cristallizzati”, immobili e inermi nello spazio in cui sono gettati. Si contraddistinguono da quanto hanno attorno per una peculiarità: la replicazione, la quale spiegherebbe perché, pian piano, essi si siano diffusi, conquistando sempre più l’ambiente circostante. Infatti,
un virus viaggia con un bagaglio leggero, non avendo alcun apparato metabolico, quindi o si imbatte nell’energia e nei materiali necessari per riprodursi e mantenersi in buone condizioni oppure soccombe al secondo principio della termodinamica e finisce in pezzi (Ivi, p. 197).
Pertanto, se per cause “fortuite” questo essere si imbatteva in ciò che gli era necessario, sopravviveva e si replicava; viceversa, soccombeva. Ciò che contraddistinguerebbe i virus odierni da quelli ancestrali è che oggi le cellule forniscono ai virus tutte le cose di cui necessitano; in precedenza, dovettero «scroccare modi meno efficienti per produrre copie di se stessi» (Ibidem). Tuttavia, nonostante le difficoltà di sopravvivenza, si fecero strada, trascorrendo buona parte di un miliardo di anni a evolversi sulla Terra, prima di poterli considerare “viventi” a tutti gli effetti, ovvero congruenti per funzionalità agli esseri viventi, così come li definiamo.
Il filosofo Daniel C. Dennett
Trattandosi di ipotesi confutabili, in merito alla questione troviamo le più svariate proposte. Una delle più interessanti, di cui sono venuta a conoscenza, è quella di Graham Cairns-Smith. Premettiamo che i viventi si riproducono grazie al DNA; alcuni virus, invece, ricorrono a un linguaggio più basilare, a singola elica, ovvero all’RNA, che è comunque presente in tutti i viventi, svolgendo un ruolo nel processo replicativo. Ebbene, secondo il chimico prima menzionato, il DNA richiede un lavoro di progettazione enorme, tanto da non poter essere solamente un mero prodotto del caso; infatti, elaborò una spiegazione, seppur discutibile, di come potrebbero essere andate le cose. Porgo anticipatamente le mie scuse alla comunità scientifica se dovessi commettere errori nell’esposizione dei processi chimico-biologici o proporre teorie difficili da confermare, ma il mio intento è riflettere su determinati passaggi dal punto di vista filosofico.
Tornando a noi, ogni «buon darwinista» (Ivi, 198) sa che, per riuscire a confermare l’algoritmo evolutivo, occorre che esso sia valido trasversalmente per ogni forma di vita concepibile. Andando alla ricerca di una forma ancora più semplice di replicante, Cairns-Smith propose un candidato, che gli parve avere tutte le qualità richieste e che – incredibile! – troviamo anche nella Bibbia: l’argilla. Il chimico mostrò che, oltre a DNA e RNA, che sono a base di carbonio, «esistono anche cristalli autoreplicanti molto più semplici a base di silicio […] (“di basso livello tecnologico”) e questi silicati potrebbero essere essi stessi il frutto di un processo evolutivo» (Ibidem). Tali silicati formano le particelle di argilla che si possono trovare, ad esempio, appena al di fuori di una corrente di un corso d’acqua; inoltre,
a livello della struttura molecolare i singoli cristalli differiscono sottilmente in modi che trasmettono quando costituiscono il «seme» dei processi di cristallizzazione che ne realizzano la riproduzione (Ivi, 199).
L’argomentazione di Cairns-Smith prosegue, illustrando come i frammenti di proteine e di RNA possano arrivare ad essere usati dai cristalli come mezzi per promuovere i propri processi di replicazione. Seguendo tali congetture, sembrerebbe che le fondamenta della vita avviarono il loro percorso come semiparassiti, attaccati a particelle di argilla riproducenti, finché riuscirono a farcela da soli. Dunque, nessun aiuto esterno, ma strumenti di cui ci si poté sbarazzare, dopo esserne serviti.
Solitamente, quando si pensa alla materia inorganica, si intende, semplicisticamente parlando, qualcosa di “morto”, di inattivo; viceversa, quando ci si riferisce a ciò che è organico, il riferimento è a un essere vivo, attivo, o qualche molecola utile alla vita. Con la teoria di Cairns-Smith siamo nel mezzo: la distinzione vita/morte si fa labile, sottile. Se è vero ciò che è stato enunciato nell’incipit, ovvero che «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», possiamo, quindi, affermare che la vita non ebbe un vero e proprio inizio, ma che fu il risultato di un processo a partire dalla non-vita? Non si tratta di fortuna, né di destino, ma di puro risultato della casualità. Mi piace pensarla come Dawkins:
per quanti modi vi siano di essere vivi, è certo che sono immensamente più numerosi i modi di essere morti, o piuttosto di non essere vivi (Dawkins, 1988, p. 131).
Questo a sostegno del fatto che non è detto che le cose siano andate così come Cairns-Smith le ha descritte: si tratta di mere supposizioni. E non dobbiamo nemmeno pensare che la replicazione sia avvenuta al primo tentativo. Il processo evolutivo che ha portato alla vita non deve essere immaginato come una linea retta, ma come un diagramma ad albero, che si è strutturato per tentativi ed errori, dove gli errori hanno determinato la morte di un ramo, mentre i successi hanno portato alla vita.
Bibliografia
Dawkins R. (1976=2017), The Selfish Gene, trad. it. Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, Corte G., Serra A. (a cura di), Milano, Mondadori, pp. 406.
Dawkins R. (1986), The Blind Watchmaker, London, Longmans, pp. 332.
Dennett D. C. (1995=2015), Darwin’s Dangerous Idea. Evolution and the Meanings of Life, trad. it. L’idea pericolosa di Darwin. L’evoluzione e i significati della vita, Frediani S. (a cura di), Torino, Bollati Boringhieri, pp. 723.
Lavoisier A. L. (2007), Trattato elementare di chimica, Bologna, Baiesi, pp. 167.
@ILLUS. IN EVIDENZA, by, FRANCENSTEIN, 2020
@ILLUS. NEL CORPO DEL TESTO, by,JOHNNY PARADISE SWAGGER feat. PATRICIA MCBEAL, 2020