ASTENSIONE MEOUMENICA

La creatura – dice Agostino – trova la propria quiete solo nel suo Creatore. Il vostro Profeta, o desistenti, non dice lo stesso; l’ergia non trova mai quiete: lo Ergon è un lavorio incessante che produce naturalmente in natura automata e riproduce umanamente in natura semiautomata. La mancanza di quiete in quanto malessere ontalgico non è desistenzialmente effetto di una certa qual lontananza dal Creatore dovuta al Peccato, o di una certa qual privazione del Bene (del Creatore) dovuta al Male compiuto dalla Creatura, bensì dal «differenziale energetico» che risulta da:
Ergìa fratto inergìa = energia
La differenza di potenziale fra l’ergia pura e l’inergia fenomenica risulta essere il potenziale ontalgico dell’essere umano che ha coscienza di questa differenza e quindi è in uno stato di inquietudine.
Parlando di Anticipazioni della percezione nella Critk der reinen Vernunft, Kant scrisse che «in tutti i fenomeni, il reale che è un oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, ossia un grado»; «Ora, è possibile un graduale passaggio dalla coscienza empirica a quella pura, dove il reale della medesima dilegua interamente e resta soltanto una concezione puramente formale (a priori) del molteplice nello spazio e nel tempo.». O desistenti, l’ontalgia è provocata dal differenziale energetico del quale il vostro Profeta v’ha dato l’esoterica frazione poco sopra. Immanuel Kant l’aveva già presagito, che «la percezione è la coscienza empirica [das empirische Bewußtsein], una coscienza cioè in cui al tempo stesso si trova una sensazione [Empfindung].» [Immanuel Kant: Critica della ragion pura – Bompiani (il pensiero occidentale), Milano 2004 – traduzione di Costantino Esposito – pag. 341].
Il reale della sensazione – das Reale der Empfindung – è «SENSAZIONE di MALESSERE», cioè ontalgia, che la coscienza empirica solleva al valore metafisico di «SENTIMENTO del MALE». È della massima importanza, o desistenti, che voi ricordiate questo nesso improprio ed illecito fra sensazione di malessere e sentimento del male: la sensazione del male, sensazione psicosomatica (somatica nella malattia e psichica nel malessere) è germanicamente die Stellung (la Posizione come «Presentazione della sensazione» di malessere tetico) e poi anche die Vorstellung (la «Rappresentazione del sentimento» del male etico); in termini kantiani, prima v’è die Anschauung (l’intuizione della sensazione) e dopo la cognizione del male come rappresentazione. «Di per sé questa rappresentazione può solo far divenire coscienti che il soggetto è affetto [affiziert] da un qualcosa, ma a sua volta essa si rapporta a un oggetto in generale. Ora, tra la coscienza empirica e la coscienza pura è possibile un passaggio graduale. tramite cui il reale della coscienza arriva a sparire del tutto, e rimane una coscienza semplicemente formale (a priori) del molteplice nello spazio e nel tempo di modo che sarà possibile anche una sintesi della produzione di quantità in una sensazione, a partire dal suo inizio, e cioè dall’intuizione pura = 0, sino a una sua qualsivoglia quantità.» [ibidem, pag. 341].
L’anticipazione della percezione esistenziale può concettualmente annullare in coscienza il grado di intensità del reale sino allo zero assoluto: il meoumeno negativo è questo zero assoluto nel senso di assenza totale di essere umano (nemo = ne homo); ma è interessante anche notare che l’oscillazione dell’intensità esistenziale che la coscienza percepisce è la causa di ogni malessere ontalgico: si può qui riconsiderare il dettato platonico dell’avvicendarsi esistenziale di «presenza dosica» e «assenza apodosica» senza per questo finire nella «ripresentazione antapodosica»; «in tutti i fenomeni la sensazione, ed il reale che vi corrisponde nell’oggetto (realitas phaenomenon), ha una quantità intensiva [eine intensive Größe], cioè un grado.», «vale a dire un grado di influsso sui sensi.». Non v’è dubbio, osserva il filosofo di Königsberg, che la nostra ragione può anticiparsi la conoscenza di qualcosa sino al punto di compiere una perfetta «prolèssi» [praesumptĭo, ōnis, (f.)], nel senso epicureo del termine:
πρόληψις (-εως, ἡ):
[προλαμβάνω]
riscossione, acquisizione. | l’esigere, il pretendere prima. ‖ l’anticipare, il prevenire. ‖ percezione anticipata. | conoscenza anticipata o preventiva. ► τινος di qcs. ► τινος di qcn. ‖ filos. nozione o concetto acquistato in precedenza (per esperienza) EPIC. 1.33, al. ecc. | nozione o concetto innato.
La mente ha in sé a priori uno schema mnemonico attraverso il quale filtra e passa tutto ciò che conosce, per dirla con Epicuro. Con Kant, «nei fenomeni c’è qualcosa che non viene mai conosciuto a priori, e che perciò costituisce anche la vera e propria differenza [Unterschied] tra ciò che è empirico e la conoscenza a priori…»: la differenza di potenziale ergetico rispetto a quello inergetico è l’origine di ogni ontalgia; sì che, per riprendere il titolo di questo lavoro – Libertà non è situazione – mai e poi mai nella situazione in cui si trova l’essere umano quando nasce può esservi pace, dacché è proprio nell’oscillazione della tensione energetica che l’intensità come grado ontalgico si fa sentire dal momento che è posta in essere inergetico. Ma la coscienza umana può presentire che solo anticipando le fenomenizzazione della ergia è possibile prevenire quella realtà ontalgica che, una volta messa in ergia, si può solo più curare. Come lo spazio e il tempo kantiani, la Ergìa è l’unica indeterminazione pura (cioè a priori priva di fenomeni) nella quale non si danno quelle terribili oscillazioni di tensione esistenziale che sono all’origine di ogni ontalgia.
Siamo tutti “in apprensióne”, noi umani, siamo sempre in ansia, angosciati dall’oscillazione insita nel differenziale energetico, che apre squarci abissali di tensione nella apparente, quieta, continuità della vita; «apprensione» è termine tecnico della filosofia kantiana: «L’apprensione [Die Apprehension], che viene procurata semplicemente per mezzo della sensazione, riempie solo un’istante [Augenblick] (nel senso che io non considero la successione di molte sensazioni). In quanto è un qualcosa di presente nel fenomeno, la sensazione non viene appresa mediante una sintesi successiva che proceda dalle parti alla rappresentazione totale, e quindi non ha alcuna quantità estensiva: la mancanza della sensazione in quel medesimo istante rappresenterebbe quest’ultimo come vuoto, e perciò = 0.». Apprendo è ad- + prĕhendo e quindi si può parlare di prensĭo, ōnis, (f.) come “apprensione istantanea” di ciò che dopo, nel tempo (e nello spazio) diventa ‘apprendimento’ come apprĕhensĭo, ōnis, (f.): c’è una “prensilità” istantanea (in un certo senso: atemporale attitudine ad afferrare a priori) nella quale, de mente, ci figuriamo ciò che ancora non è stato fenomenicamente configurato in una realtà della quale si possa avere sensazione; giustamente Kant osserva che «ciò che corrisponde alla mancanza di sensazione è la negazione = 0.». Potere della sterèsi prolessica! La «mancanza» – der Mangel –, in quanto assenza assoluta di sensazione, che prolessicamente la ragione può concepire nell’apprensione ontalgica, fa presagire, come anticipazione della percezione esistenzale del malessere, uno stato di “anestesia totale” del non essere estesico: è allora che l’estetica trascendentale – die transzendentale Ästhetik – può essere analogicamente considerata alla stregua kantiana ed epicurea di prolèssi, ma non come forma mentis che rende possibile la conoscenza, bensì come forma nientis che rende possibile l’incoscienza nel meoumeno negativo preconcezionale.
ἀναισθησία (-ας, ἡ):
[ἀναίσθητος]
mancanza di sensazione, insensibilità. ‖ ottusità, stupidità. ‖ incoscienza, torpore.
ion. -σίη ARET.
La sensazione del malessere s’altera nella coscienza etica che compie una stima valoriale tendente alla «valutazione “sentimentale”» della «mancanza» morale che non è più deficienza come carenza – der Mangel – percettiva di sbalzi di tensione energetica di tipo esistenziale, ma difetto derivante da una colpa, il peccato, alla quale si dà la colpa appunto della colpa che origina la «tensione esistenziale in ergia» con i suoi dolorosi sbalzi energetici di tensione; «distensione», questa è la parola, il Verbo del vostro Profeta, o desistenti – distensione come anestesia totale nel meoumeno negativo, cioè ἀναισθησία di una ἀνεργασία (-ας, ἡ).
anergìa s. f. [dal gr. ἀνεργία «inerzia», comp. di ἀν- priv. e ἔργον «lavoro»]. – In medicina, la condizione di un organismo che non reagisce di fronte a un’infezione o al contatto di una sostanza inoculata e dotata di potere antigene.
Già il nostro predesistente Schopenhauer giunse a concepire una noluntas in grado di pervenire al ‘nirvana’ inteso buddisticamente come stato perfetto di pace e di felicità; ma il pensiero desistenziale ritiene idiota mettere al mondo degli esseri, quelli umani, che poi passano la vita a cercare una via di fuga dal mondo. Il “nirvana” desistenziale non è quello al quale si perviene dopo essere nati, bensì quello al quale non si viene, quello che si previene. La psicoanalisi ha parlato di «principio del nirvana» in un senso che comprende insieme sia l’analogia kantiana sia quella kantiniana: freudianamente, l’apparato psichico tende ad abbassare la tensione fino allo zero, e questo zero simboleggia la stasi del mondo inorganico; è molto interessante, questo convergere di filosofia e psicoanalisi verso la chimera del Todestrieb, la pusione di morte che s’oppone a quella di vita. Per esempio in Al di là del principio di piacere, Freud scrisse che «se il lavoro dell’apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento, tutto ciò che ha invece la proprietà di aumentare tale quantità dev’essere necessariamente avvertito come contrario al buon funzionamento dell’apparato, e cioè come spiacevole.». «La maggior parte del dispiacere che proviamo è invero un dispiacere “percezionale”»: die Wahrnehmungsunlust. Il «principio di realtà» è contrastato dal «principio di piacere», sì che, in ultima analisi, il soggetto umano esistente in modo organico tende fatalmente a una quiescènza che è nostalgia dell’inorganico.
«Una pulsione sarebbe dunque una spinta, insita nell’organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale quest’essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti dall’esterno; sarebbe dunque una sorta di elasticità organica, o, se si pregerisce, la manifestazione dell’inerzia che è propria della vita organica.». [Sigmund Freud: Al di là del principio di piacere – in Opere 9 – Bollati Boringhieri, Torino 1977 – pag. 222].
«Se possiamo considerare come un fatto sperimentale assolutamente certo e senza eccezioni che ogni essere vivente muore (ritorna allo stato inorganico) per motivi interni, ebbene, allora possiamo dire che la meta di tutto ciò che è vivo è la morte, e, considerando le cose a ritroso, che gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi.». [Sigmund Freud: Al di là del principio di piacere – in Opere 9 – Bollati Boringhieri, Torino 1977 – pag. 224].
Il padre della psicoanalisi, se da una parte riconosce che non si sa quale forza ha portato la materia inorganica alla vita organica, dall’altra conosce che «la tensione che sorse allora in quella che era stata fino a quel momento una sostanza inanimata, fece uno sforzo per autoannullarsi; nacque così la prima pulsione, la pulsione a ritornare allo stato inanimato.»; «improvvisamente ci accorgiamo di essere approdati nel porto della filosofia di Schopenhauer, per il quale la morte è “il vero e proprio risultato, e, come tale, scopo della vita”, mentre la bramosia sessuale è l’incarnazione della volontà di vivere.» [ibidem, pag. 235]. La citazione freudiana proviene da Schopenhauer: Speculazione trascendente sull’apparente disegno intenzionale nel destino dell’individuo (1851) [trad. it. Parerga e paralipomena (Boringhieri, Torino 1963) – pag. 291].
«L’aver riconosciuto come tendenza dominante della vita psichica, e forse della vita nervosa in genere, lo sforzo che si esprime nel principio di piacere, sforzo inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli, (il “principio del Nirvana”, per usare un’espressione di Barbara Low), è in effetti uno dei più forti motivi che ci inducono a credere nell’esistenza delle pulsioni di morte.» [Sigmund Freud: Al di là del principio di piacere – in Opere 9 – Bollati Boringhieri, Torino 1977 – pag. 241].
La tendenza a ripristinare uno stato precedente è in un certo senso quella desistenziale, con un’unica sostanziale differenza: che la tendenza desistenziale è quella che col senno di poi invita ad evitare il riprìstino, cioè, non la volontà a posteriori di tornare là donde si è venuti, bensì la volontà a priori di stornare l’essere venuti, la «nolontà di essere» contro alla «volontà di essere».
Il vostro Profeta, o desistenti, scorge una grande affinità noetica, tra la speculazione kantiana del grado zero di tensione esistenziale tendente all’irrealtà e quella freudiana del grado zero di tensione psichica tendente all’inorganico; se da una parte Kant dice che la nostra ragione può intendere l’apprensione dell’annullamento totale della realtà, dall’altra Freud dice che la nostra psiche può tendere alla prensione dell’annientamento totale della vita: il primo riflette sulla prolèssi della conoscenza del reale, il secondo sulla prolèssi della coscienza della vita.
«Sennonché – continua Kant –, ogni sensazione è suscettibile di una diminuzione [Verringerung]; tanto che essa può decrescere [abnehmen] e così, gradualmente, svanire [verschwinden].». A ben vedere, das Verschwinden – lo scomparire – dell’intensione insita nella tensione della realtà esistenziale fenomenica, è il «pensiero preconcezionale della ragione», così come lo è quello concettuale di una ragione che pensa alla propria forma mentis (co-scienza precategoriale) senza con questo conoscere empiricamente una forma entis. La coscienza può risalire il proprio flusso coscienziale sino a raggiungere un meoumeno ontologico & noumeno gnoseologico nel quale naufragare dolcemente alla maniera leopardiana; al crocevia di filosofia e psicologia, il noumeno & meoumeno diventa materia della psicosofia, della quale il vostro Profeta, o desistenti, è fondatore.
Persino il teoumeno è effetto di una percezione coscienziale della intensione noetica, ma riferita a una intensità ontologica trascendente verso l’alto al punto di raggiungere non lo zero ma l’infinito: come opposti che coincidono, teoumeno e meoumeno & noumeno sono pensati sotto il comun denominatore della gradazione, e cioè, il pensiero può sia scendere i gradi(ni) dell’intensione ontologica-gnoseologica fino alla «prolèssi meoumenica del Nonessere», sia salire i gradi(ni) dell’intensione ontologica-gnoselologica sino alla «prolèssi oumenica dell’Essere»; ontologicamente, l’«Essere teoumenico» è al massimo grado di tensione ontologica, mentre, al contrario, il «Nonessere meoumenico» è al minimo grado di tensione ontologica: definiremo «astensione meoumenica» (non «ipotensione oumenica») un grado di tensione ontologica pari a zero e «ipertensione oumenica» un grado di tensione ontologica pari a infinito; l’astensione meoumenica è assenza assoluta di conoscenza in senso gnoselologico, ed è assenza assoluta di coscienza in senso ontologico.
Kant definisce anticipazione «ogni conoscenza mediante la quale io posso conoscere e determinare a priori ciò che appartiene alla conoscenza empirica»; il privilegium prolepsis (privilegio della prolessi) non è in realtà un beneficio, ma anzi un maleficio della ragione: siccome «il reale nel fenomeno ha sempre una quantità», eine Größe, e tuttavia la ragione è in grado di avere l’apprensione di un grado zero (o infinito) – che è lo stesso – nel quale non solo la conoscenza del reale ma il reale stesso finisce nel meoumeno (o principia nel teoumeno). «Ora – dice Kant – quella quantità che viene appresa solo come unità, e nella quale la pluralità può essere rappresentata solo approssimandosi alla negazione = 0, io la chiamo quantità intensiva [die intensive Größe] Dunque, ogni realtà nel fenomeno ha una quantità intensiva, cioè un grado.». Lo stesso Kant chiama der Moment «il grado della realtà, in quanto causa», la realtà come causa della sensazione; però, non bisogna dimenticare che «fra la realtà e la negazione sussiste una connessione continua, fatta di realtà possibili e di possibili più piccole percezioni.»: a dire che, fuori da questa connessione, la realtà scompare e il fenomeno non appare più, col che addio conoscenza! La «continuità delle quantità» fa sì che non si possa mai arrivare a una «parte semplice» (per noi l’Ergìa) pescata negli abissi della realtà; come kantianamente «spazio e tempo non sono quanta continua», così kantiniamente ergia ed inergia non sono entia continua. Come per Kant spazio e tempo essendo presupposizioni estetiche a priori non possono essere composte, così per Kantino ergìa ed inergìa essendo posizioni tetiche a posteriori possono essere scomposte.
Kantianamente, un fenomeno in quanto «ente» non può che essere (avere) una certa «quantità estensiva» di realtà, per cui «niente» è solo una «quantità intensiva» di realtà pari a zero. «Ma dal momeno che a fondamento di ogni numero deve trovarsi sempre un’unità, allora il fenomeno, inteso come unità, sarà un quantum, e come tale sarà sempre un continuum.»; ne deriva che «è continuo anche ogni mutamento [alle Veränderung] (passaggio di una cosa da uno stato ad un altro) [(Übergang eines Dinges aus einem Zustande in den andern)]». «In realtà, il fatto che sia possibile una causa che muti lo stato delle cose, e cioè le determini in senso contrario rispetto a un certo stato già dato, è qualcosa di cui l’intelletto [der Verstand] a priori non sa dirci nulla, e non semplicemente per il motivo che esso non arriva affatto a vederne la possibilità (…), bensì perché la mutabilità riguarda soltanto certe determinazioni dei fenomeni che solo l’esperienza può insegnare, mentre la loro causa va trovata in ciò che è immutabile.». Qui Aristotele s’incarna in Immanuel Kant: superando il limite oltre il quale l’esperienza cessa, l’Intelletto non conosce più nulla di fisico ed è allora che la Ragione si spinge nell’essere metafisico; «anticipare la scienza in generale della natura» equivale a farsi delle idee indimostrabili, idee della Ragione, non dell’Intelletto.
Se ogni realtà ha un grado, «allora non sarà possibile alcuna percezione, e quindi neppure alcuna esperienza che dimostri, immediatamente o mediatamente (per quanto contorto possa essere il sillogismo) una totale mancanza di reale nel fenomeno [die einen gänzlichen Mangel alles Realen in der Erscheinung].». Sinché ti arriva un certo Hegel, che spende tutta la sua vita di filosofo per dare al baluginare chimerico dello scheinen metafisico il valore preontologico di uno Spirito del quale l’erscheinen fenomenico è Vorschein: venire alla luce. Il meoumeno del vostro Profeta, o desistenti, è invece proprio quel Mangel alles Realen in der Erscheinung che Kant ha escluso dalla facoltà conoscitiva in quanto inesperibile. «Questo vuol dire che dall’esperienza non si potrà mai trarre una dimostrazione dello spazio vuoto o di un tempo vuoto.»: ein Beweis vom leeren Raume oder einer leeren Zeit. Anche se, a onor del vero, proprio queste due irrealtà sono state da Kant elevate trascendentalmente a pura forma della conoscenza: uno Spazio vuoto di enti ed un Tempo vuoto di mom-enti.
Progetto Dexistens nel Network di Arena Philosophika, per vedere la home di Dexistens clicca qui.
@ILLUS. by TEKATLON, 2020