IL TRAVAGLIO RENDE LĪBĔRI

«libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta»
[Divina Commedia: Purgatorio I, 70-71]
Certo, sì, l’amore è cieco,
ma perché la volva è orba:
di chi ama è destin bieco,
che s’involva in ciò che ammorba.
L’uomo agogna e poi s’infogna,
prima agogna poi procrea,
mette al mondo – che vergogna! –
una vita affatto rea.
Rea di che? Di esser nata!
Ma è una colpa, la doglianza?
È una doglia, che ci è data
per finire in condoglianza.
Il travaglio rende liberi?
Lībĕri solo in latino,
lingua morta, ormai di ieri,
che oggi studia chi è cretino.
Lībĕri vuol dire ‘figli’.
Ma è leggenda da sfatare:
ché lo son come i conigli,
liberi di procreare!
Procreare rende liberi?
Certo non rende giustizia:
chi fa figli lascia in fieri
summa iniuria, non giustizia.
Fare figli è far captivi,
prigionieri della vita,
in cattività, ché ivi
la lor libertà è finita:
libertà di starne fuori,
da ‘sto campo di tormenti,
campo in cui di certo muori,
dal momento che ci entri.
Lavorare e poi morire:
questo tocca agli internati,
liberi di deperire
e perir, vituperati.
Vituperio della vita!
Siamo tutti deportati
dalla patria terra avita
e alla morte condannati;
Nostra patria è invero il nulla
da cui dicesi che Iddio,
stanco a forza di far nulla,
dell’uom trasse fuori l’Io.
È il nulla, il nulla santo,
quella patria dove ancora
non si sente nessun pianto,
nessun gemito che accora;
Mentre qui sempre un lamento
sale orribile dal campo,
come “di concentramento”,
dove niuno trova scampo.
Progetto Dexistens nel Network di Arena Philosophika, per vedere la home di Dexistens clicca qui.
Per vedere tutte le poesie e i racconti di Cantino clicca qui.
Per leggere tutte le poesie di Arena Poetika clicca qui.
@ILLUS. by AGUABARBA, 2020