MEONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ (prima lezione) I,2
«Il mio inizio e il mio esser principiato è un dono di me a me. E la mia iniziativa, il mio cominciare, è un mio consenso a essere», dice ancora Pareyson. Come dire che uno, scoprendo di essere positivo al CORONAVIRUS, ne conclude che il suo cominciare ad essere malato è il suo consenso a essere malato; giusto? […] La Morte è il vero e unico dono che la Vita fa a chi comincia a vivere.
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Solo un filosofo che concettualmente si ritiene schiavo affrancato può propagare il virus esiziale della “libertà data”. Il desistente è semplicemente uno che, schiavo come tutti (dacché ha ricevuto il proprio inizio da altri) si rifiuta tuttavia di mettere altre persone (i suoi figli potenziali) in questa deplorevole situazione. La situazione è data, col che è data la schiavitù, non la Libertà.
Non si capisce come possa, un uomo intelligente qual è Pareyson, dire che «è un apparente paradosso quello di qualcosa che comincia a essere solo nell’atto in cui è ricevuto, perché solo l’atto del riceverlo lo attua». Paradossale. Il vero paradosso è che Pareyson possa dire una cosa del genere. Non vede, Pareyson, che la sua apologia di libertà umana si schianta miseramente contro il paradosso filosofico che egli stesso vuol difendere? Vede il para-dosso e pure ne cavalca la δόξα! Questa ricezione passiva di una incongruenza paradossale si può spiegare solo ‘perché non possiamo non dirci cristiani’, purtroppo; solo Benedetto Croce può aiutarci a far luce sull’accettazione malsana del dogma dell’iniziativa iniziata. Pareyson ha il coraggio di dire che è «un’apparente contraddizione»; ma lo dice solo perché è cresciuto e si è formato in una mentalità cattocristiana che non ha mai messo in dubbio. Ecco perché il desistente ce l’ha a morte con il cattocristianismo: perché esso è l’oppio dei popoli che anestetizza la ribellione morale contro il paradosso della «libertà data», contro la violenza suprema della «iniziativa iniziata»; esso è il panorama obbligato che fa perdere di vista qualunque altro scenario. «L’iniziativa comincia il proprio agire solo come principiata, cioè come data»: provate a dirlo all’Essere supremo, quello che è da sempre in eterno, se gli va di calarsi in una dimensione di attività principiata! Bestemmia! Grideranno alla bestemmia coloro che lo adorano come Essere al quale l’esistenza non è stata data da nessuno. Ma allora, vedete che per accettare un’iniziativa principiata bisogna non mettere in discussione il retaggio più o meno inconscio di un Principio incausato?
Pareyson sostiene che «l’iniziativa non cessa d’esser tale anche se è principiata» poiché «nell’uomo, insomma, inizio e iniziativa, esser principiato e cominciare, coincidono». La dialettica che salverebbe la bontà di questo assunto sarebbe «la dialettica di dono e consenso: la dialettica della libertà data è la dialettica di dono e consenso». Potrebbe sembrare banale, la confutazione del pensiero desistenziale, ma forse la salvezza sta proprio nella riscoperta della banalità del male, del male insito nella congettura pareysoniana di coincidenza di dono e consenso a prescindere; a prescindere dal fatto che – repetita iuvant – il consenso presuppone una domanda, nel senso che i genitori che decidono di copulare per concepire un figlio chiedono preventivamente al loro figlio che ancora non c’è (cfr. esser-ci): «Vuoi tu, potenziale figlio nostro, dare il tuo consenso affinché il tuo Essere impersonale diventi Persona in virtù della nostra copulazione?»; ma nessun figlio potenziale ha mai potuto – a memoria d’uomo – sentire una domanda del genere, prova ne è che molti figli d’Uomo non vorrebbere essere nati. E allora? Come la mettiamo, signor Pareyson? Dobbiamo forse pensare che a te la vita sia piaciuta moltissimo? Sia piaciuta al punto da non metterla mai in discussione? O forse, più semplicemente, dobbiamo pensare che i fumi cattocristiani ti abbiano stordito al punto da non permetterti più di ragionare sulla contraddizione scandalosa insita nel Principio-principiato? Come possiamo mettere insieme dono e consenso se questi sono eventi che accadono su due dimensioni ontologicamente diverse?
Il famosissimo Canto notturno leopardiano canta invano la sua lagnanza di tutto rispetto:
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.
Povero Leopardi! Si studia come poeta senza prendere sul serio il disperato appello umanitario che la sua poesia veicola. A chi, la vita non è male? Per tutti, la vita è male! E voi, filosofi che vi riempite la bocca di assurdità che non stanno in piedi, quand’è che direte qualcosa di veramente utile per porre fine al male della vita? Quale filosofo ha mai filosofato per trasmettere un messaggio di speranza capace di bonificare i miasmi ontologici dell’Essere? Illustrissimo Luigi Pareyson, quando dici che il consenso è «un accoglimento attivo, una libera accettazione come adesione», sai cosa stai dicendo?
In questi giorni un virus sconosciuto sta mietendo vittime, fra gli umani. Pareyson è già morto, e non di COVID-19 (per sua fortuna) bensì di “covid-91”: è morto nel 1991 e, invertendo l’ordine dei numeri, non CORONAVIRUS emerge nel trapasso da 19 a 91 ma l’emergenza della MORTE. Le malattie sono solo i tentacoli della Morte, e tuttavia l’essere umano non impara niente, dalla realtà delle malattie: si preoccupa, giustamente, di debellarle, di trovarne l’anti-virus, e poi tutto ricomincia come prima. Nessuno che sappia intravedere nel virus della Morte l’inizio di tutti gli altri virus, di tutte le altre malattie, queste sì, inizi iniziati (dalla Morte). C’è la Morte, nessuno può negarlo; ed è perché c’è la Morte che ci sono le (sue) malattie; ma non nel senso religioso che c’è il Male e perciò ci sono le malattie (mentre il Bene osserva addolorato). Noi umani vinciamo ogni tanto qualche malattia e pensiamo di aver vinto la Guerra; no! vinciamo solo delle battaglie sporadiche, se siamo fortunati, ma la Guerra contro la Morte resta a tutt’oggi da vincere. La Guerra della Morte è il vero Essere che arreca i vari Malesseri: possibile che nemmeno di fronte a questa verità lapalissiana il filosofo sappia trarre delle conclusioni?
«Il mio inizio e il mio esser principiato è un dono di me a me. E la mia iniziativa, il mio cominciare, è un mio consenso a essere», dice ancora Pareyson. Come dire che uno, scoprendo di essere positivo al CORONAVIRUS, ne conclude che il suo cominciare ad essere malato è il suo consenso a essere malato; giusto? Qui, in realtà, non è di questo o quel virus che ci occupiamo, da veri filosofi, bensì della Morte, della Morte come Male che fa male quando ci afferra con i suoi tentacoli, con le sue malattie, che fa male e che alla fine ci uccide, sempre. La Morte è il vero e unico dono che la Vita fa a chi comincia a vivere. Ma la Vita è dono solo a condizione che sia data. Ragionate: chi dà la Vita? I genitori! Ed allora concludiamo che la Vita è dono e sarà dono solo fino a quando dei genitori la propagheranno, ignari di stare propagando un vero e proprio Virus. Se fra gli umani spariranno i genitori, automaticamente sparirà anche il Dono: la datità data per definizione indiscussa. Da generazioni e generazioni poeti e filosofi (senza parlare della gente comune) si lagnano della Vita, ma pare quasi che il lagnarsi piaccia loro, visto che nessun filosofo o poeta prende di petto il problema. Pareyson sottilizza: «ego sono un me mihi». E il desistente immagina un dottore che, con tanto di mascherina, dice a un disperato agonizzante in terapia intensiva: «tu sei un te tibi, stai sereno, l’hai voluta, la Vita? allora bèccati il CORONAVIRUS e stai zitto: fa parte del “pacco” regalo».
Il Principio del MAL-ESSERE è principiato nel MALE, recita l’ontodicea della libertà: il BENE non ne ha colpa sì che l’ontodicea è fatta salva. Il desistente s’incazza e obietta: il MAL-ESSERE è principiato dall’ESSERE e solo chi principia l’ESSERE può ritenersi colpevole; ora, i genitori iniziano l’ESSERE in Vita sicché l’ontodicea è condannata. Dov’è questo «libero atto di accoglimento e consenso» di cui Pareyson va cianciando quando il MAL-ESSERE attacca le vie respiratorie sotto le specie del malato di COVID-19 che, intubato, non sa proprio come spiegarsi il mistero sublime dell’inizio iniziato? L’attività del virus non può non essere vissuta come passività, quando veramente è vissuta in termini di contagio dal contagiato che fatica a respirare. Difficile?
«In filosofia non si può affrontare il problema della libertà se non mettendolo sempre in rapporto con il concetto di necessità». In medicina anche? Il malato di CORONAVIRUS dovrebbe affrontare la sua malattia mettendolo sempre in rapporto con il concetto di necessità? Necessità di morire? Necessità per l’essere umano di morire, alla fin fine, di qualcosa? Ma se un medico dicesse all’intubato in terapia intensiva che di qualcosa si deve pure morire, credo che l’intubato si strapperebbe il tubo e inveirebbe sdegnato, o no? Può un morente fare appello alla libertà di non morire? No, pare. Il vivente è mortale per definizione, solo che se ne ricorda solo mentre sta morendo. Possibile che ci voglia sempre un’agonia per ricordare ai viventi il loro stato di mortali? Come possono, i guariti di CORONAVIRUS, strombazzare in televisione (per esempio nella trasmissione La vita in diretta) che la Vita è più forte della Morte? Come lo è l’Amore? Quale amore? quello che ha messo al mondo chi ha scampato momentaneamente la Morte? Tanto è solo questione di Tempo! Alla Morte non si scampa. «Io credo – sostiene Pareyson – che da un punto di vista filosofico non si possa dire sulla libertà niente di più profondo del principio fondamentale della sintesi di recettività e attività».
Demenziale, se lo si considera alla luce della dialettica immunità/malattia che in questi giorni è ben presente alla coscienza umana grazie alla Pandemia in atto. E allora cosa diremo? Che guarire di CORONAVIRUS e diventarne immuni può darci la felicità necessaria per continuare a vivere? Solo un idiota può pensarlo, dal momento che prima o poi qualche altro virus ci porterà alla Morte. Coloro che si compiacciono della libertà condizionata sono come dei detenuti che s’accontentano dell’ora d’aria e perciò ne godono: chi s’accontenta gode, del resto. Come gode Pareyson, pare, quando magnifica la sua sintesi mirabile di recettività e attività.
«Io rivendico la illimitatezza della libertà. La libertà è illimitata o non è». Giusto, Luigi, giusto. Ma non t’accorgi che la nostra libertà illimitata non è, dal momento che è limitata proprio nel suo principiare? E allora come puoi incapponirti nel difendere questa tua libertà? Che non è, a ben vedere, Libertà? Cosa rivendichi, Luigi? Il «principio dell’inseparabilità di essere e libertà» fa acqua da tutte le parti, non te ne accorgi? Essere e Libertà sono inseparabili solo nel Dio teorizzato dalla tua religione, ma questo Dio va creduto con una forza che solo la Fede può dare, non certo la fiducia della Filosofia. «L’essere stesso è libertà», sì, ma l’Essere divino, non l’essere umano. La «libertà pura» di fronte alla quale tu t’inchini, caro Luigi, è la Libertà del Dio stesso che tu adori; ma non tutti sono disposti a credere in questo Dio, e tantomeno i desistenti. «La libertà è un abisso, è una profondità senza fine…»: la Libertà abissale di cui parli, Luigi, è abissalmente diversa dalla libertà spicciola nella quale ci troviamo a vivere noi, quando al massimo possiamo essere liberi di stare in casa oppure liberi di essere contagiati a rischio di essere anche sanzionati dal governo di turno che decreta svariati DPCM per difendere la nostra libertà di non ammalarci di CORONAVIRUS. Lo Stato difende la libertà di non essere contagiati, tutela il diritto alla vita, ma lo fa in un regime di Morte filosoficamente innegabile: la vera Pandemia che da sempre porta la Vita alla Morte è ipocritamente sottaciuta; non è politicamente corretto mettersi a discutere di Princìpi maligni, in un regime di malanni principiati!
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@GIF by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2020
MEONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ – SLIM EDITION
♋ Meontologia della Libertà di Magister Damnatus ♋
@GRAFIC. by MAGUDA FLAZZIDE, 2020







Fatevi avanti, difensori dell’esistenza, e cercate di confutare le ragioni della desistenza, se ci riuscite!