SCHOPENHAUER: IL MONDO COME VOLONTÀ (Parte II)
Un esempio fatto da Schopenhauer è che noi non attribuiamo il guscio della chiocciola ad una volontà guidata da conoscenza ma estranea alla chiocciola stessa.
Oppure, un altro esempio è che non pensiamo che la casa da noi stessi costruita sorga per effetto di una volontà che non sia la nostra; ma questa casa e la casa della chiocciola conosceremo quali opere della volontà, che si oggettifica in entrambi i fenomeni porta ad avere una volontà che opera in noi secondo motivi e nella chiocciola ciecamente opera come un impulso costruttivo rivolto verso fuori.
Anche negli esseri umani la volontà agisce in vari modi e ciecamente: in tutte le funzioni del nostro corpo, in tutti i suoi processori vitali e vegetativi ma anche la circolazione del sangue: è un processo osservabile non solo nelle azioni del corpo ma il corpo medesimo è in tutto e per tutto, come abbiamo mostrato, fenomeno della volontà, una volontà definita da Schopenhauer come oggettivata e concreta: tutto ciò che in esso accade deve quindi accedere per effetto della volontà e sebbene questa non sia diretta dalla conoscenza, né determinata da motivi, agisce ciecamente in seguito a cause che in tal caso prendono il nome di stimoli. Schopenhauer chiama “causa”, nel senso più stretto della parola, quello stato della materia che subisce una modificazione grande come quella che esso produce; una vera e propria azione e reazione che si equivalgono. Inoltre, con una vera e propria
causa, l’azione cresce in proporzione alla causa e così anche la reazione.
Andando avanti nella trattazione schopenhaueriana, un importante tema che potrà essere poi utile per comprendere la visione estetica di Schopenhauer è ricordare come punto di partenza che la volontà è una e indivisa e essa agisce in ogni essere vivente, che siano uomini o sassi. Ed essa è priva di fondamento e anche di scopo; ed ecco perché è possibile dire che la volontà è cieca, irrazionale e cieca.
Ciò che è particolarmente importante per l’estetica schopenhaueriana è che il filosofo afferma che la volontà ha un’altra molteplicità che è diversa e precedente a quella fenomenica; ricordando che quella fenomenica rappresenta il suo divenire molteplice nel mondo. Questa altra molteplicità è metafisica ed è quella delle idee: come motivo di sfondo il fatto che tutti i filosofi da Plotino in poi sentono di dover rendere conto della processione del molteplice dall’uno. Schopenhauer dà un significato alle idee che egli pretende essere quello stesso di Platone e che, ovviamente, è diverso da Kant.
Le idee per Schopenhauer sono i gradi, i livelli, adeguati di oggettivazione della volontà, dunque non le estrinsecazioni empiriche nel fenomeno. Questi gradi si trovano poi alla base delle estrinsecazioni fenomeniche.
Nella visione di Schopenhauer riguardante le idee è possibile trovare delle analogie con le idee di Platone: sono degli archetipi delle cose, sono i fondamenti metafisici che rendono possibile l’estrinsecazione fenomenica, che sarebbe un po’ come dire il termine medio tra la volontà in se stessa e la molteplicità empirica.
La fisica riguarda il mondo come rappresentazione, la metafisica viene considerata dal filosofo a partire dalla volontà e da quelle oggettivazioni adeguate della volontà che sono i gradi, i livelli, della materia. Le rappresentazioni fenomeniche sono inadeguate. La fisica, dunque, risale, muovendosi all’interno del principio di ragione, dagli effetti alle cause e determina le forze naturali che le sono alla base; la considerazione vera e propria di tali forze, quali gradi di oggettivazione adeguati della volontà, spetta invece alla filosofia. Qui si passa dalla fisica alla metafisica, questa correlazione, ma anche netta distinzione di fisica, ovvero scienza naturale e filosofia naturale, ossia la metafisica naturale.
La volontà, pur essendo una e indivisa, si estrinseca primariamente nella molteplicità metafisica delle idee, dunque nella sua estrinsecazione è anche
discorde con se stessa, in lotta con se stessa. Questa lotta della volontà con se stessa si vede bene, a livello fenomenico, nel fenomeno del nutrimento, infatti ogni animale si nutre anche di altri esseri viventi come gli animali e le piante. L’uomo invece, considerandosi il padrone del mondo, si nutre di tutti gli altri esseri viventi.
Metafisicizzando tutto ciò, Schopenhauer afferma che la volontà si nutre di se stessa si potrebbe dire quasi che divora se stessa. Questo è uno dei modi in cui la violenza della volontà di Schopenhauer viene a galla, violenza che già si era manifestata nella condizione stessa dell’uomo, una condizione di totale sovrasto da parte della volontà: noi non siamo altro che trascinati dalla volontà. Non possiamo certamente controllare la volontà. Siamo completamente passivi nei confronti della volontà, la subiamo, la patiamo, siamo trascinati in una ruota senza fine.
Questa riflessione però auspica poi anche a delle possibili vie di liberazione dalla volontà stessa, le quali, come è possibile notare più avanti nella sua trattazione, sono comunque sempre effimere. Non si può ovviamente parlare di un finalismo11 della volontà in quanto se stessa, ma si può parlare di un finalismo per quanto riguarda le sue estrinsecazioni in gradi e fenomeniche. Possiamo parlare di finalità interna corrispondente ad un individuo interiore, ed una finalità esterna che corrisponderebbe ad un rapporto tra le varie forme di esseri viventi, sottolineando il carattere della lotta per la sopravvivenza. Un altro importante tema qua espresso è il rapporto tra conoscenza e volontà:
“la conoscenza in generale scaturisce dalla volontà stessa, come una semplice macchina, un mezzo per la conservazione dell’individuo e della specie, come un qualsiasi altro organo del corpo”12.
Ha una concezione pragmatica, utilitaristica, strumentale della conoscenza. Essa viene intesa come uno strumento della volontà.
“E’ destinata al servizio della volontà affinchè possa realizzare i propri scopi. E’
finalizzata primariamente alla conservazione dell’individuo e della specie.” 13
Nel terzo libro di Schopenhauer, si vedrà però come in certi uomini la conoscenza si emancipi. Questa conoscenza emancipata sussiste solo per sè, come un semplice e chiaro specchio del mondo. E’ proprio in questo modo che si produce l’arte: l’arte come un tipo eccezionale di conoscenza non più asservita agli interessi della volontà.
Nel quarto libro, infine, il filosofo scrive di come questa modalità della conoscenza, non asservita agli scopi della volontà, addirittura reagisce alla volontà
e si realizza così l’auto soppressione della volontà, ossia la rassegnazione, che è lo scopo ultimo, anzi l’intima essenza, di ogni virtù e di ogni felicità e l’autentica condizione del mondo. In conclusione possiamo dire che normalmente la conoscenza è uno strumento, eccezionalmente può liberarsi dalla volontà grazie alla conoscenza estetica e alla conoscenza, più forte, che porta all’autosoppressione della volontà ed è quella dell’ascesi morale. La volontà in se stessa è senza fine, intendendo quest’ultimo termine sia nel senso di un fine, sia nel senso di una fine.
Si potrebbe infatti pensare che la volontà ha un fine, perché la volontà è sempre volontà di qualcosa e abbiamo visto come Kant indichi il fine della volontà nella moralità, cosa che ovviamente per Schopenhauer è assurda: l’esperienza morale per Schopenhauer è al contrario un modo per liberarsi dalla volontà.
Invece la volontà per il filosofo non ha mai nè una fine, nè un fine: ogni manifestazione della volontà, ogni desiderio, ha sì un fine, ma a un desiderio ne segue sempre un altro, tanto che questa catena di desideri non arriverà mai ad una soddisfazione ultima e definitiva. Nonostante un corpo riesca a soddisfare qualche desiderio o impulso, ne succederanno sempre degli altri, ad un corpo si ripresentano sempre le sue esigenze. Possiamo per tutte queste ragioni dire che la volontà non ha una fine e nemmeno un fine. La volontà può essere descritta come un continuo tendere. Nel terzo e nel quarto libro viene sviluppata l’auspicabilità di salvarsi da questo tormento della volontà.
Le vie di liberazione che vengono presentate sono due: abbiamo l’esperienza estetica, vista come una sospensione della volontà la quale si realizza solamente in certi momenti, come durante la contemplazione di un’opera d’arte o di un paesaggio.
Viene ripreso il tema kantiano dell’esperienza del bello disinteressato, ma modificandolo molto, infatti Kant non ha mai detto che nella contemplazione del
bello abbiamo una liberazione, diceva che erano solamente dei momenti privilegiati. Questa comunque non è una liberazione definitiva dalla volontà,
rimane sempre una via di liberazione effimera, si ha poi un’esperienza ascetica: anche questa rimane una via di liberazione pur sempre effimera, però più consistente e durevole dell’esperienza estetica. La morale di Schopenhauer si basa sulla compassione che nasce dal vedere che non solo io, ma tutti soffrono.
L’esperienza morale libera in quanto sospende l’appagamento e questa è un’influenza fortemente orientale, ovvero riduce l’attaccamento al mondo; altro non è che l’esperienza dell’ascesi. Questo non deve però essere inteso nel senso del suicidio: difatti la via di liberazione consiste nel cercare di ridurre il meno possibile il potere della volontà, che non potrà mai però essere eliminato del tutto.
1 finalismo s. m. [der. di finale agg.]. – In generale, concezione filosofica per la quale la natura e il
mondo sarebbero organizzati in vista di una o più finalità (che ne sarebbero quindi il principio
esplicativo).
12 A. Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, tr. it. Editori Laterza, Bari-Roma
2009, p. 180
13 A. Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, tr. it. Editori Laterza, Bari-Roma
2009, p. 18
@ILLUS. by PMB & JPS, 2020 – @in PHOTO – LUCCYF3R, 20??
SCHOPENHAUER:
LA MUSICA COME SALVEZZA DELL’ANIMA