TRE PRECISAZIONI INTORNO AD UN TESTO DIFFICILE: GERSONIDE LETTORE DI AVERROÈ – [GATTI VIP]
1) C’è un filosofo ebreo medievale, Lewi ben Gershom (Provenza, 1288-1344, uno dei massimi rappresentanti dell’aristotelismo ebraico), che sta commentando tre piccoli lavori di noetica del filosofo arabo ibn Rushd o Averroè. Questi lavori, indicati con il nome di Opuscoli o Lettere, vertono su alcuni passi difficili del De anima di Aristotele. Ciò che preoccupa in particolar modo questi due autori è capire quali siano le relazioni tra il singolo individuo con tutto il bagaglio di esperienze uniche e irrepetibili che lo caratterizzano (il suo proprio intelletto materiale) e l’insieme di conoscenze universali che costituiscono un ordine impersonale dell’universo (l’Intelletto Agente unico per tutta l’umanità).
Quando ‘io’ dico che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180°, il contenuto della proposizione è infatti valido in tutti i tempi e per individui di culture diverse; io mi rappresento però questo contenuto a partire da un determinato triangolo (isoscele o rettangolo, orientato in un certo modo nello spazio). Nei termini di Karl Popper, si tratta di vedere quali siano le relazioni tra i contenuti del Mondo 1 e 2 (l’insieme delle operazioni e degli stati mentali soggettivi di un individuo) e quelli del Mondo 3 (i contenuti universali degli atti di conoscenza).
2) Sia Gersonide sia Averroè sono fortemente interessati al problema della felicità mentale: intendono seguire fino in fondo le soluzioni che la filosofia dà alla questione del senso dell’esistenza umana, facendo a meno della rivelazione divina.
3) Per entrambi, la filosofia è in grado di assicurare questa felicità. Infatti, al termine del processo conoscitivo la prospettiva dell’uomo diventa quella dell’Intelletto Agente. L’uomo si etterna non in quanto individuo, ma in quanto parte consapevole di un’ampia rete di relazioni. Nella prospettiva rushdiana, l’intelletto materiale (l’organo con cui il singolo conosce) finisce con il diventare un sostrato universale, unico per tutta l’umanità. Infatti, il processo conoscitivo è paragonabile a quello con cui degli oggetti diventano visibili all’occhio di un singolo uomo. Nella percezione, la componente soggettiva e individuale (il fatto cioè che alcuni determinati oggetti ‘mi’ si mostrano, con le loro particolari sfumature di colore e le loro inclinazioni nello spazio e nel tempo) è resa possibile da fattori universali e impersonali: la luce del sole che illumina (paragonata all’azione esercitata dall’Intelletto Agente); la presenza dell’aria o mezzo in cui la luce si diffonde, accostati a un intelletto materiale unico per tutta l’umanità; gli eide con cui degli oggetti visibili vengono intenzionati (quelle sfumature di rosso e quegli oggetti che riconosco come libri). Nei termini di Merleau-Ponty, non sono ‘io’ che percepisco le cose, ma quest’ultime si danno o si mostrano.
Di seguito, una traduzione di un passo fondamentale del primo Opuscolo di Averroè (Come l’uom si etterna, pp. 123-125). Si tenga presente che le parti in corsivo del testo, quando non riproducono l’originale ebraico del testo, segnalano inserzioni fatte da Gersonide per esplicitare meglio il senso del testo che sta commentando.
Aristotele [nel De anima] non si è affatto espresso su questo punto [quello cioè relativo alla natura individuale o universale dell’intelletto del singolo uomo, nota mia] e la lettera delle sue analisi sopporta anzi simultaneamente le due interpretazioni (shene ha-‘inyanim). Infatti, egli ha detto, a proposito di questo intelletto materiale, che esso è impassibile e separato.[1] Quando dice che esso è separato, è possibile che [Aristotele] intenda che non si tratti di una facoltà del corpo che si dividerebbe secondo la divisione di quest’ultimo, per quanto poi [l’intelletto materiale] abbia, attraverso la mediazione dell’anima, una dipendenza necessaria rispetto al corpo (hittalut hekhrechi ba-guf).
Ed è [anche] possibile che egli intenda, nei suoi [=dell’intelletto materiale] confronti, che sia assolutamente separato (nifrad le-gamre).
In verità, ho detto così (e cioè che è possibile che non si tratti di una facoltà corporea che si divide secondo la divisione del corpo e che non [per questo] sarebbe [assolutamente] separato, ma che avrebbe, attraverso la mediazione dell’anima, una dipendenza necessaria rispetto al corpo), dal momento che ciò non risulta affatto evidente in sé [e cioè] che un ente con questa proprietà sia [del tutto] separato. In effetti, in relazione alla potenza prima [assolutamente] separata (ha-koach ha-ri’shon ha-nifrad), è già emerso nel Libro VIII del De phys. che [anche] essa non si divide secondo la divisione del corpo e che [invece] non è frammista [in alcun modo] alla materia.[2] (…)
Allo stesso modo, ibn Rushd scrive che non è assurdo che questa facoltà sia separata, per quanto si tratti di una pura e semplice predisposizione (hakhanah levad). In effetti, a partire dai fondamenti che erano in possesso di Aristotele, è derivata la necessaria conseguenza secondo cui vi sarebbero delle forme che non appartengono alla natura di ciò che è correlato – si tratta cioè delle forme separate che appartengono ai corpi celesti.[3]
Stando così le cose, che cosa potrebbe impedire che, secondo lui [=Aristotele], si diano delle predisposizioni aventi questa proprietà (e cioè di essere separate e di non appartenere alla natura di ciò che è correlato)? [E questo], tanto più [se ciò si considera] unitamente a quanto è emerso in relazione a questa predisposizione [e cioè] che essa è, in maniera essenziale, numericamente unica per [tutti] gli uomini [ed] è molteplice in maniera accidentale (’asher hi achat be-mispar be-bene-adam be-‘etzem, harbeh be-miqreh).
[1] Cf. De anim. III 4, 429a 15-19 (in questo testo la separazione dell’intelletto materiale rimanda al suo «non essere mescolato, come dice Anassagora») e 429b 5-6.
[2] Cf. De phys. VIII, 10.
[3] In altre parole, secondo l’interpretazione di Aristotele data da ibn Rushd in questo Op1 e poi ripresa nel suo Commento grande al De anima, l’intelletto materiale sarebbe un ente relativamente (e non assolutamente) separato, nella misura in cui esso (analogamente a quello che accade con le Intelligenze celesti) non si moltiplicherebbe in via essenziale in relazione al suo sostrato. È in questo senso che, come dice il testo, l’intelletto materiale, a differenza di quello che accade con le forme materiali, «non apparterebbe alla natura di ciò che è correlato» e cioè appunto di ciò che si moltiplica in via essenziale con il moltiplicarsi del sostrato cui inerisce.
@ILLUS. by JOHNNY PARADISE SWAGGER ft. PATRICIA MCBEAL, 2021
COME L’UOM SI ETTERNA